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La storia

Ideata sul modello della città giardino di Ebenezer Howard, Fertilia è forse l’unica delle città di fondazione di epoca fascista che ha conservato intatti i caratteri dell’architettura razionalista del ventennio, incorniciati da una natura verde e rigogliosa che ne ricorda ed esalta il felice nome augurale. Situata nel nord-ovest della Sardegna, di fronte alla catalanoaragonese Alghero, la borgata nasce ufficialmente l’8 marzo 1936, per dare corpo all’idea utopica dell’Onorevole Mario Ascione, il quale vide nella bonifica della pianura acquitrinosa della Nurra la possibilità di creare una comunità fiorente e autonoma, dalla spiccata economia rurale. In realtà i lavori di trasformazione del territorio erano già iniziati alla fine dell’800, con la bonifica della laguna costiera del Calich, a opera dei detenuti del vicino stabilimento penale di Alghero e della colonia penale di Cuguttu, e proseguiti con la realizzazione del Villaggio Calik, nel 1927, su progetto dell’ingegner Pier Luigi Carloni.

Questo primo gruppo di edifici in stile neomedioevista, destinati a magazzini, dormitoi per gli operai e uffici direzionali, andrà a costituire il nucleo più antico dell’abitato di Fertilia, oltre a essere un punto di partenza per quella che, dal 1933 in poi, sarà il concetto di “bonifica integrale” voluto dal regime fascista e operato dall’Ente Ferrarese di Colonizzazione di cui Ascione fu presidente e direttore dal 1934 al 1943.

Poco più di un centinaio di famiglie provenienti dalla bassa ferrarese, in quei tempi soggetta a una forte pressione demografica, andranno ad abitare altrettanti poderi distribuiti a maglia regolare, estirpando la macchia mediterranea, dissodando i terreni e scavando profondi canali di drenaggio al fine di rendere coltivabili e produttivi terreni altrimenti palustri. Ed è proprio sul contatto con il circondario e con l’agro, sulla base dell’asse viario rettilineo che la collega con la borgata di Santa Maria la Palma, che si instaura il rapporto tra le file di case coloniche e il centro urbano, Fertilia, dedicato ai servizi. In quest’ultimo si contrappongono due piazze: la prima, piazza Venezia Giulia, a forma di esedra secondo il primigenio progetto del 1935 dell’ingegner Arturo Miraglia, ospita la chiesa e la scuola elementare, unico edificio realizzato conformemente al progetto originario “razionalissima, audace costruzione con più corpi avanzati, scintillanti di vetri e di lucidi metalli”; la seconda piazza fronte mare, nei grafici di progetto “piazza 9 maggio”, abbraccia la Casa Comunale e la Casa del Fascio, con le relative torri ai due estremi dello spazio urbano, l’albergo, il cine-teatro ed una splendida rotonda che simboleggia la prua di una nave aggettante sul mare. Il pennone di maestra di quest’ultima è costituito da un obelisco rivestito in travertino sul quale fa bella mostra la statua bronzea del leone alato di San Marco (opera dello scultore Giuseppe Silecchia), memoria delle genti giuliane e dalmate che nel 1947 giunsero esuli dalle terre di origine per costruire e rendere viva l’idea progettuale degli architetti Petrucci e Tufaroli, e degli ingegneri Paolini e Silenzi. Una terza piazza, mai realizzata, prevedeva nei pressi del quadrivio di accesso all’abitato, un vasto spazio dedicato al commercio, al mercato e alle fiere. Il sopraccitato gruppo 2PST, vincitore nel 1936 del concorso per il piano regolatore di Aprilia nell’Agro Pontino, e in seguito di Pomezia, su incarico diretto dell’On. Ascione, rivedrà l’iniziale progetto dell’ingegner Miraglia, troppo slegato da un’architettura urbana omogenea e improntato sulla monumentalità isolata di ogni singolo edificio, per dar vita nel 1937 ad un organismo edilizio unitario “eliminando ogni inutile e costosa acrobazia costruttiva, limitando il cemento armato alle sole strutture orizzontali, con paramenti a vista di pietre locali, con coperture a tetto, dando al paese una fisionomia spiccatamente italiana e mediterranea”.

Il palazzo del Comune, sul lato est della piazza fronte mare, è l’unico edificio di rappresentanza in cui è presente una pur semplice decorazione parietale costituita da piatte lesene e da riquadri inseriti nel rivestimento murario in trachite. Pavimenti e rivestimenti in marmo sono presenti solo nella chiesa, dove è possibile ammirare alcuni splendidi mosaici di Giuseppe Biasi, noto esponente della pittura sarda dell’epoca, affiancati dalle pregevoli opere in ceramica dell’artista Giuseppe Silecchia. Il resto degli edifici è privo di ornamenti e decori. Le strutture portanti sono in pietra calcarea locale legata con malta di calce, mentre le zoccolature, le cornici di portoni e finestre, ed i rivestimenti in pietra a vista, sono in trachite proveniente dalla vicina Ittiri. Semplici infissi in legno e pavimenti in marmette di graniglia di cemento completano le finiture degli ambienti, con un’elaborazione stilistica assolutamente essenziale.

Passeggiare per il centro abitato equivale a immergersi in un quadro metafisico di De Chirico, dove la ritmica degli archi a tutto sesto delle quinte della chiesa e dei portici della via Pola, scandita da pilastri in trachite color vinaccia, identificano volumi semplici dalle superfici pulite e omogenee. Il salto di oltre settanta anni nel passato quasi non si avverte, data la modernità degli edifici e la creazione di ampi percorsi e piazze che hanno saputo guardare alle tendenze ed alle necessità future. Le sensazioni percepite sono di quiete e serenità, grazie all’armonioso legame creatosi tra lo spazio antropico e lo splendido paesaggio naturale che lo ospita, rammentandoci che la lezione data da queste prime basi del movimento moderno, difficilmente riscontrabile in contesti a noi più vicini, rappresenta l’ultima grande espressione della cultura edilizia italiana a livello internazionale.